Il Teatro di Giuseppe Fava di nuovo in libreria

BIETTI COPERTINA 1

Alla Fiera del Libro di Torino, nel trentennale della morte di Giuseppe Fava, la casa editrice Bietti di Milano presenta il primo volume di una nuova edizione del Teatro di Giuseppe Fava, che giunge in libreria a ventisei anni dall’edizione dell’Editore Tringale di Catania (1988). Opera meritoria quella della Bietti, curata da Massimiliano Scuriatti, che propone i testi teatrali non solo a uso e consumo degli addetti ai lavori, ma come momento di lettura autentica per lo spettatore-lettore.

Verso lUomo e la Verità. Il teatro di Giuseppe Fava

A trent’anni dalla scomparsa di Giuseppe Fava, l’analisi dei suoi testi teatrali – un corpus di quindici opere, alcune delle quali mai rappresentate – ci rivela con estre­ma eloquenza un dato oggettivo: studiare il teatro di Fava significa affondare le mani nel complesso universo dell’uomo, nelle sue acque cristalline, molto più spesso nel torbido del suo animo.                                                                                                         Il lettore che solo oggi viene a conoscenza dell’esisten­za di un Giuseppe Fava drammaturgo, avvicinandosene per la prima volta attraverso la presente raccolta, di certo non mancherà di constatare la profondità del suo pensiero, la stretta intimità con la società di cui è stato parte e che ha sondato, reinterpretandola, mediante la scrittura. Né mancherà di cogliere l’ampiezza del suo sguardo, la volontà di osservare le cose da ogni prospet­tiva, il gusto per il grottesco e il paradosso, la delicatezza nel raccontare i dolori della gente che nulla possiede, la potenza dialettica dei temi e dei personaggi, la poesia, la multiforme koinè linguistica e culturale. Prescindendo dai personali giudizi di valore, pure importanti in virtù del compito di offrire al lettore un quadro generale e, insieme, particolare dell’opera drammatica di Fava, ciò su cui sin d’ora dobbiamo fare affidamento è ritenere la sua scrittura come sospinta e sostenuta da un’onestà intellettuale e morale salda e incorruttibile, negli anni mai venuta meno. Un atteggiamento di totale sincerità, prima di tutto verso se stesso, che gli ha consentito di darsi allo spettatore in modo altrettanto sincero, per offrire una propria visione della natura umana scevra da ogni forma di parzialità e di conformismo. Un’indagine, quella che Fava compie sull’uomo, dal carattere antro­pologico – di certo al di sopra di ogni forma ideologica e politica – seppure traslata nella dimensione dello spet­tacolo, che il linguaggio teatrale per sua natura prevede.

Un teatro di grande valore artistico, in sé contenente una minuziosa lettura di quanto accadeva, e ancora oggi accade, nell’Italia del malaffare, della corruzione e dell’ingiustizia. Una produzione preziosa andata offuscandosi, nel corso del tempo, fin quasi a scomparire, anziché ricevere adeguata collocazione culturale, nell’ambito della ricerca accademica come nella pratica teatrale vera e propria.

L’atteggiamento di coerenza verso se stesso e verso lo spettatore (e il lettore) ha fatto sì che il suo teatro nascesse e si sviluppasse in modo del tutto indipendente da ogni forma ideologica e politica. Una scrittura al di sopra delle parti, un’opera nel suo complesso morale, mai moralistica. Un «teatro etico», secondo la felice definizione di Leo Gullotta, che fece parte della prima compagnia di Cronaca di un uomo (1966) e de La violenza (1969), rispettivamente per la regia di Romano Bernardi e Giacomo Colli. Un teatro fondato e sfruttato per le sue doti di “amplificazione” di conoscenza o, secondo il chiarimento dello stesso Fava, come «mezzo di comu­nicazione di verità». Nel contempo, un teatro che tiene conto del suo essere prima di tutto luogo di evasione e momento di svago. Spettacolo, appunto.                                     Per Fava il significato, o il «messaggio» da trasferire al pubblico (che tocca anche la sfera emozionale), di cui ciascun testo è portatore, può definirsi in tutta la sua efficacia solo in base a tale presupposto. Che nei fatti va perse­guito ricorrendo a tutti «gli aspetti del teatro […], anche quello di divertimento».

 

 

 

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