BELLO, BELLISSIMO

in scena al Teatro delle Muse di Catania nel 1975

L’autore propone una sua idea di giornalismo come “una continua, civile aggressione della realtà”, ribadendo un concetto: “io dico semplicemente che è inutile una riforma essenziale della società, se prima questa riforma, difficile, sofferente, dolorosa non avvenga dentro le nostre coscienze…”

In “Bello, bellissimo” non ho fatto tanto un discorso sulla società, quanto un discorso sull’uomo.

L’ambiente è quello della redazione di un giornale dove un  giorno arriva la lettera di un anonimo che preannuncia il suo suicidio. La notizia fa scattare i cronisti, che per un apparente impulso di generosità, si mettono a cercare il misterioso autore dello scritto per impedirgli il folle gesto.

In questa ricerca allucinante vengono a conoscenza di innumerevoli, miserabili storie e personaggi, ma tutto ciò viene ignorato, perché non fa parte di quella cronaca che si vuole registrare.

Quello che poteva essere un banale fatto di cronaca assume i connotati di un’inchiesta sull’uomo.

Bello, bellissimo (di Piero Isgrò)