Antonio Roccuzzo
martedì 19 marzo 2013
Ieri in una stanza di un palazzone romano di viale Trastevere è successo un piccolo “miracolo” civile. La parola – mi rendo conto da ateo convinto – va fin troppo di moda, dopo l’irruzione in scena di papa Francesco, ma qui non c’è nulla di cattolico, state tranquilli. Anche se di miracoli così ce ne sono tanti tra le pieghe nascoste d’Italia e molti altri ne dovrebbero accadere.
E’ accaduto, e io ne sono stato testimone, che il Ministero dell’istruzione ha firmato un’intesa con la Fondazione Giuseppe Fava. Elena Fava, la figlia del giornalista ucciso dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984 e mio maestro di giornalismo, e la professoressa Giovanna Boda, responsabile del dipartimento dello studente del Miur, hanno messo la firma sotto sette fogli di carta. “Da oggi ci siamo alleati”, ha detto una sorridente “burocrate” che non ha nulla di burocratico nei toni e nelle parole.
Il miracolo è questo: 30 anni (quasi) dopo l’assassinio di Fava un pezzettino dello Stato si è accorto di questo luogo della civiltà italiana, la Fondazione Fava, e le ha porto la mano, facendo proprio questo “esempio civile”. Per fare iniziative e cultura insieme, mettendo tutte le scuole italiane nella condizione di ricordare (senza retorica) un cronista ucciso dal potere politico-mafioso siciliano e italiano. Non era mai successo finora, non c’era stato nessun brandello di Stato (tribunali a parte) che, dal 1984 a oggi, avesse dato questo segno concreto di voler tutelare questa memoria e di darle lo spazio di esprimersi uscendo dai suoi confini.
In cosa consisterà questa “santa” e civile alleanza? Accadrà che da qui al 5 gennaio 2014 (anniversario del delitto Fava), tutte le scuole italiane potranno studiare le cose dette e scritte da Pippo Fava, faranno lezioni con esperti, scriveranno articoli, gireranno video, scatteranno foto.
Fava ha scritto: “A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?”. Lo faceva dire a un suo personaggio nella commedia “la Violenza”. E questo fu lo spirito del giornale, lottare per la verità, che animò la redazione dei ragazzi de “I Siciliani”, la rivista che Fava fondò nel 1982 dando l’occasione di imparare un mestiere liberamente (e come si potrebbe farlo senza?) a una decina di ragazzi italiani.
Per me e per gli altri compagni di quella avventura giovanile fu l’attimo fuggente, l’occasione di provare a scrivere ed esprimersi liberi. Un privilegio per un cronista italiano, una grande scuola di vita e una splendida bottega dove apprendere un mestiere.
Ecco, lo spirito di questa alleanza tra Fondazione Fava e Miur è proprio questo: dare ai ragazzi italiani l’occasione di studiare (fuori dai testi) la figura di un giornalista libero, un grande educatore civile, un appassionato cronista. “Apri la finestra sulla tua città e racconta dove vedi traccia di mafie”. Sarà questo – più o meno – il titolo del bando intitolato a Fava e l’Ansa.it accoglierà i lavori delle scuole che aderiranno al bando del Miur. Poi, a gennaio, Catania diventerà capitale delle scuole italiane. Come Palermo per il 23 maggio.
Perché i miracoli civili hanno i loro esempi e i loro nomi da proporre per far camminare le idee.
Ragazzi di tutte le scuole d’Italia, datevi da fare a scrivere. Fava avrebbe creduto in voi. Come – 30 anni fa – credette in me, in Claudio, in Michele, in Elena, Rosario, Riccardo, Sebastiano, Lillo, Fabio e in tutti quelli che sono venuti dopo.